Il Comune di San Vittore incassa 2 milioni di euro l’anno dai conferitori del CSS, poi li riversa a un privato senza contratto
Il Comune di San Vittore del Lazio è al centro di una gestione che solleva interrogativi politici e amministrativi. Da un lato, incassa da anni il cosiddetto benefit ambientale, una forma di compensazione economica legata alla presenza sul proprio territorio dell’impianto di trattamento rifiuti gestito da Acea Ambiente. Dall’altro, ha affidato per almeno quattro anni – dal 2019 al 2022 – il servizio di raccolta rifiuti alla società Super Eco, riconducibile alla famiglia Ciummo, senza mai formalizzare un contratto.
È stato il Segretario comunale, in una nota ufficiale indirizzata anche al Prefetto di Frosinone, a confermare che non esiste alcun contratto agli atti dell’amministrazione. Nonostante ciò, la società ha continuato a ricevere regolari pagamenti da parte del Comune, il servizio è stato prorogato più volte e i costi sono persino aumentati, senza che venissero realizzate le migliorie promesse in sede di gara. Tra queste: la pulizia periodica delle strade, la distribuzione di strumenti ai cittadini per la differenziata, la gestione dell’isola ecologica.
Il Comune di San Vittore beneficia delle somme che derivano da un meccanismo previsto dalla normativa regionale
La singolarità più evidente, tuttavia, riguarda un dato paradossale: entra denaro pubblico sotto forma di benefit ambientali, esce denaro pubblico per servizi non contrattualizzati. Il Comune beneficia delle somme che derivano da un meccanismo previsto dalla normativa regionale: i Comuni del Lazio sono obbligati a conferire i propri rifiuti nell’unico impianto di termovalorizzazione esistente nella Regione, quello di San Vittore, gestito da Acea Ambiente, che esercita un ruolo di monopolio di fatto. Gli impianti conferitori versano una quota accessoria al Comune sede, che rappresenta il cosiddetto “benefit ambientale”.
A rendere ancor più delicata la questione è il fatto che, a far emergere il caso Super Eco non è stata la magistratura del Lazio, bensì la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli. È la DDA partenopea, infatti, ad aver avviato un’inchiesta penale su un presunto sistema corruttivo e mafioso connesso a decine di appalti pubblici in Campania e nel Lazio, iscrivendo nel registro degli indagati decine di soggetti, tra cui anche vertici della Super Eco. È dunque la magistratura campana ad aver acceso i riflettori su un sistema che coinvolge anche amministrazioni comunali del Lazio, laddove le procure laziali, la Corte dei Conti regionale e gli organi di controllo appaiono finora silenti.
Il benefit è legato a un prezzo e non a una tariffa pubblica
Questo scenario, già di per sé anomalo, si aggrava se si considera che il cosiddetto “benefit” è legato a un prezzo – e non a una tariffa pubblica – applicato da Acea Ambiente. Si tratta di un prezzo determinato unilateralmente dal gestore dell’impianto, in regime di monopolio, e non fissato da autorità regolatorie indipendenti. I Comuni conferitori sono vincolati a quelle condizioni, non avendo alternative territoriali.
Alla luce di questi elementi, appare urgente e legittimo chiedere un intervento di verifica da parte degli organi di controllo, delle autorità contabili e, soprattutto, della magistratura competente sul territorio. La sovrapposizione tra benefit incassati, affidamenti senza firma e mancata trasparenza amministrativa configura una dinamica istituzionalmente anomala, che non può più essere ignorata.
Non si tratta, al momento, di formulare ipotesi di reato. Ma di porre pubblicamente, e nel rispetto della legalità, una domanda chiara: com’è possibile che la DDA di Napoli si accorga di ciò che accade nel Lazio, mentre le autorità laziali non rilevano nulla?
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