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Sinner vince Wimbledon, ora tutti sul carro!!

L’Editoriale: C’è chi lo ha accusato di non essere “abbastanza italiano”, chi ha storto il naso per la residenza a Montecarlo, chi ha scavato nei regolamenti per metterlo alla gogna per una presunta sospensione. Intanto Jannik vince Wimbledon. Gli altri chiacchierano.

Non è italiano. È freddo. Paga le tasse a Montecarlo. Non canta l’inno. Tre mesi fa – assicuravano certi esperti improvvisati – era stato “sospeso” per un controllo antidoping saltato. Tutti sul pezzo. Sui social, nei bar, nei commenti a margine delle dirette. Tutti a sentenziare, a costruire una narrativa tossica su un ragazzo che, nel frattempo, si allenava. E vinceva.

Oggi Jannik Sinner è il campione di Wimbledon

Oggi Jannik Sinner è il campione di Wimbledon. Il primo italiano nella storia a farlo. Numero uno del mondo, quattro Slam in carriera, leader indiscusso di una generazione di fenomeni. Eppure, qualcuno ancora lo osserva con diffidenza, come fosse un ospite scomodo a casa propria. Perché viene dall’Alto Adige, parla tre lingue e non agita la bandiera come piace al tifo da stadio.

Il punto non è più Sinner. Il punto siamo noi. O meglio, una certa parte d’Italia che pretende di giudicare uno sport globale con la mentalità del derby domenicale. Che misura l’“italianità” di un atleta con il metro dell’esibizionismo patriottico. Che scambia il tennis – sport individuale, cerebrale, globale – per una partita al Fantacalcio.

Non ha mai risposto alle provocazioni

Sinner ha fatto a pezzi anche questo cliché. Non ha mai risposto alle provocazioni. Non ha rilasciato dichiarazioni furbe, non ha cercato consensi a buon mercato. Ha lasciato parlare il campo. Wimbledon, Melbourne, Parigi: tribunali sportivi più autorevoli di qualsiasi opinionista a gettone. E con una sola lingua, quella dei risultati.

Il suo essere riservato è diventato un atto di ribellione silenziosa. Una dichiarazione d’intenti: “Non sono qui per piacervi. Sono qui per vincere”. E lo ha fatto. Senza abbassarsi al rumore, senza urlare, senza improvvisarsi eroe nazionale in cerca di gloria effimera.

Adesso quelli che lo criticavano tacciono

E adesso? Adesso quelli che lo criticavano tacciono. O peggio: riscrivono la loro narrativa, rispolverano magliette con la scritta “Forza Jannik” e salgono sul carro come se ci fossero sempre stati. Ma la memoria resta. Restano gli articoli, i tweet, le trasmissioni. Restano le accuse infondate, le insinuazioni velenose, le lezioni di “italianità” da parte di chi crede che il tricolore vada sventolato solo quando conviene.

La verità è semplice: Jannik Sinner non ha mai avuto bisogno dell’Italia da bar. E oggi l’Italia seria, quella che capisce il tennis e rispetta lo sport, lo applaude. In piedi.

Fabrizio Gerolla

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