Papà si impicca a 34 anni: il tribunale gli aveva tolto tutto, anche la voglia di vivere
Ancora un papà che decide di farla finita. Si è ucciso così, in silenzio, come tanti. Aveva 34 anni, un figlio, e una separazione sulle spalle che gli aveva strappato tutto: casa, stabilità, contatti col bambino, dignità. Si è tolto la vita a Termini Imerese il 10 luglio, nel tardo pomeriggio. Lo hanno trovato senza vita, accasciato, abbandonato.
Ma questo non è “solo” un suicidio. È un atto d’accusa. È il risultato di un sistema legale e sociale che umilia i padri separati, li esclude, li colpevolizza, li priva di ogni ruolo, lasciandoli affondare nella disperazione.
Questo uomo non è morto per una fragilità personale. È morto per una struttura familiare e giudiziaria che, in troppi casi, trasforma la separazione in una condanna a morte civile.
Perché succede? Perché lo Stato si gira dall’altra parte quando si parla di loro?
Papà separati: numeri, volti, tragedie invisibili
Ogni anno in Italia, centinaia di padri si tolgono la vita. Un dato che si fatica perfino a tracciare: perché nessuno raccoglie statistiche ufficiali sulle cause profonde, e quando un uomo muore, lo si archivia come “problema personale”. Ma non lo è.
In molti casi i padri separati raccontano un inferno quotidiano:
- Figli tenuti lontani con il ricatto emotivo o con manovre legali.
- Falsa violenza domestica usata come strategia difensiva per ottenere la custodia esclusiva.
- Denunce strumentali, che intasano tribunali e marchiano gli uomini senza prove.
- Alienazione genitoriale: bambini manipolati per odiare il genitore non affidatario.
- Affido esclusivo sistemico: quando “madre” significa automaticamente “genitore migliore”.
L’uomo di Termini Imerese era uno dei tanti padri che amano i propri figli ma che vengono tagliati fuori dalle loro vite. Uomini che pagano assegni, fanno chilometri per una visita, subiscono umiliazioni in tribunale, e poi si ritrovano soli, poveri, colpevoli di nulla.
Non è depressione. È abbandono. È violenza sistemica
Non chiamiamola solo “fragilità”. La morte di questo giovane padre grida una verità: quando perdi tutto ciò che ami e nessuno ti ascolta, smettere di respirare può sembrare l’unica via.
Eppure nessuno interviene:
- Non ci sono centri d’ascolto per uomini vittime di violenza domestica, e quando li aprono subiscono censure e condanne dal “femminismo” a tutti i costi.
- Non esiste una protezione legale contro le false accuse.
- L’assistenza psicologica è riservata a chi urla più forte, o a chi porta ferite visibili.
Ma anche i padri muoiono di botte, invisibili: botte psicologiche, legali, affettive.
L’Italia non può continuare a usare i padri separati come bersagli muti. Serve una riforma vera. Serve uno scatto morale. Serve, soprattutto, smettere di ignorare chi sta affondando. Prima che un altro si impicchi in silenzio e venga dimenticato.
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