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Il curatore speciale: da garante del minore a strumento di parte?

Nell’ordinamento italiano, il curatore speciale dovrebbe rappresentare l’interesse esclusivo del minore, in particolare nei casi in cui i genitori sono in conflitto tra loro e non riescono a garantire scelte condivise. È una figura prevista dalla legge per agire in modo autonomo e super partes, proprio per evitare che i bambini e i ragazzi diventino ostaggio della guerra tra adulti.

Ma la realtà dei tribunali racconta tutt’altro. In particolare nei procedimenti di separazione altamente conflittuali, la figura del curatore speciale – quasi sempre ricoperta da donne – finisce sistematicamente per schierarsi dalla parte della madre, indipendentemente dai fatti, dai contenuti tecnici o dallo stato del procedimento giudiziario. Non è più una tutela neutrale, ma una militanza processuale.

Il problema è profondo, strutturale. Invece di rappresentare davvero il minore, molti curatori sembrano assumere un ruolo accusatorio verso la figura paterna, spesso in modo preventivo e arbitrario, anche quando il procedimento penale nei confronti del padre non è ancora iniziato, o si basa solo su un rinvio a giudizio – che è un atto dovuto e non una condanna, e nemmeno una prova. Eppure, già in quella fase, senza attendere verifiche, senza un contraddittorio e senza una sentenza, il curatore inserisce il minore nel “contesto di violenza domestica”, dando per scontato che le accuse della madre siano verità acquisite.

Accade con frequenza che il curatore ignori completamente le relazioni dei consulenti tecnici nominati dal giudice (le cosiddette CTU), professionisti con competenze psichiatriche, psicologiche e forensi. Nonostante non abbia alcuna abilitazione in questi ambiti, il curatore prende posizione, contesta le perizie, formula diagnosi implicite, propone provvedimenti. E tutto questo con un’unica direzione: colpire la figura del padre.

Questa deriva è ancora più grave se si considera che uno dei principi fondamentali imposti dalla legge è quello della bigenitorialità, cioè il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori. Eppure, il comportamento di molti curatori si orienta sistematicamente verso l’esclusione del padre, anche in assenza di prove di pericolo, anche quando le perizie invitano alla cautela e al rispetto dell’equilibrio affettivo del bambino.

L’alleanza madre-curatore speciale

Non si tratta di eccezioni. Si tratta di una prassi consolidata e diffusa, che si ripete da nord a sud, nei grandi centri e nei piccoli tribunali. Appena emerge una denuncia, spesso senza riscontri e a volte palesemente pretestuosa, scatta l’automatismo dell’alleanza madre-curatrice. Il padre viene immediatamente descritto come “potenzialmente pericoloso”, i figli come “vittime indirette”, e tutto ciò senza che sia stato accertato nulla, senza che ci sia un processo, senza una condanna. Basta il sospetto, basta il rinvio a giudizio, che oggi è diventato una formalità, un passaggio obbligato per il pubblico ministero.

In questi contesti, la figura del curatore perde totalmente la sua funzione istituzionale e diventa uno strumento di rafforzamento della strategia legale della madre. Una forma di duplicazione d’arma processuale, con la differenza che il curatore parla a nome del minore e quindi gode di un’aura di “terzietà” che però, nella pratica, è completamente svuotata.

In assenza di controlli reali e con meccanismi di nomina spesso opachi, non è raro che alcuni curatori vengano individuati all’interno di cerchie professionali ristrette, in contesti in cui reciprocità, consuetudine o interessi convergenti tra legali e curatori finiscono per compromettere la necessaria indipendenza del loro operato. Una prassi che, pur senza prove dirette di illeciti, solleva più di un interrogativo sulla permeabilità del sistema a logiche clientelari, se non peggio.

Il danno è doppio. Si danneggia il padre, privato del suo ruolo e stigmatizzato senza difesa. Ma si danneggia soprattutto il minore, che invece di essere tutelato, viene strumentalizzato come leva emotiva e giudiziaria, trasformato in testimone silenzioso di una verità già scritta.

La legge è chiara. Ma nei tribunali, troppo spesso, viene piegata. E finché il ruolo del curatore sarà affidato a soggetti che operano senza vincoli reali di responsabilità, senza competenze tecniche specifiche e senza controlli effettivi da parte del giudice, continuerà a produrre distorsioni sistemiche. Distorsioni che hanno un’unica costante: l’uomo colpevole, la donna vittima, il figlio ostaggio. Anche quando la realtà è molto più complessa.


Le violazioni e i reati di un curatore speciale “infedele”

Chi ricopre l’incarico di curatore speciale del minore non è un privato qualsiasi, ma un ausiliario del giudice a tutti gli effetti. Assume un incarico pubblico, esercita poteri civili rilevanti, e ha l’obbligo giuridico e morale di agire esclusivamente nell’interesse superiore del minore, nel rispetto della Costituzione, delle leggi dello Stato e del principio di terzietà.

Quando però il curatore, soprattutto nei procedimenti di separazione conflittuale, tradisce questo mandato, si espone a responsabilità disciplinari, deontologiche e persino penali.

Violazioni disciplinari e deontologiche

  • Mancanza di imparzialità, contraria al dovere di indipendenza;
  • Condotta lesiva verso il minore, se orientata a favorire uno dei due genitori;
  • Abuso del ruolo processuale, con comportamenti strumentali o dannosi.
    Questi comportamenti possono portare a sospensione, censura o radiazione dall’Ordine.

Responsabilità penali

  • Abuso d’ufficio (art. 323 c.p.), se favorisce consapevolmente una parte;
  • Falso ideologico (art. 479 c.p.), se redige atti con contenuti manipolati;
  • Omissione d’atti d’ufficio (art. 328 c.p.), se non tutela davvero il minore;
  • Calunnia o favoreggiamento (artt. 368 e 378 c.p.), in caso di accuse infondate sostenute o rafforzate dal curatore;
  • Diffamazione (art. 595 c.p.), se nei documenti si ledono onore e reputazione dell’altro genitore senza base oggettiva.

Inoltre, può rispondere civilmente per i danni causati al minore e al genitore danneggiato, ex art. 2043 c.c., per la lesione dell’immagine familiare e del principio di bigenitorialità.

Infine, ricordiamolo: il curatore giura fedeltà alla Costituzione e ai principi di imparzialità, trasparenza e legalità. Tradire questi obblighi non è solo un errore professionale: è un abuso istituzionale.

Ecco perché, quando la curatrice si fa portavoce della madre, ignora le CTU, si sostituisce agli esperti e anticipa le sentenze, non è più una garante della tutela.
È diventata parte del danno. E come tale, deve risponderne fino in fondo.

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