Wimbledon: finale a tre? Il peccato originale di Sinner si chiama Alcaraz
Wimbledon è entrato nella sua fase calda, quella in cui il prato si consuma e i nervi si tendono. Djokovic Alcaraz e Sinner sono agli ottavi, i riflettori si concentrano su questo triangolo d’élite. Tre generazioni a confronto, tre percorsi diversi, un solo traguardo: la finale.
Wimbledon in pillole
Novak Djokovic, 38 anni e sette titoli a Wimbledon, sembra immune al tempo. Dopo l’intervento al menisco di un mese fa, è tornato in campo senza esitazioni: gambe agili, servizio chirurgico, braccio fermo. Gioca come se la pressione fosse un’abitudine. In tre turni ha concesso le briciole, come se stesse conservando energia per i momenti che contano davvero. Perché se c’è una cosa che Djokovic sa fare meglio di tutti è alzare il livello quando l’aria si fa densa.
Carlos Alcaraz, invece, non ha bisogno di tempo: lui lo divora. Ha già vinto Wimbledon, ha già battuto Djokovic su questo campo e ora sembra deciso a ripetersi. Viene da un Roland Garros conquistato con autorità contro Sinner e ha un gioco che sull’erba si adatta con fluidità sorprendente: variazioni, tocco, potenza, profondità. Ma soprattutto, una convinzione ferrea nei momenti decisivi. Quando Alcaraz entra in modalità battaglia, la sua giovinezza diventa un’arma, non un limite.
E poi c’è Jannik Sinner, numero uno del mondo. Una presenza solida, costante, che negli ultimi dodici mesi ha conosciuto solo una direzione: l’alto. Dopo il rientro dalla sospensione forzata di tre mesi, è tornato più centrato e più consapevole. Wimbledon, però, resta il suo punto interrogativo. Due semifinali in carriera, ma mai una finale. Sul prato ha fatto passi avanti evidenti, soprattutto nel gioco a rete e nella gestione dei tempi. E quest’anno, nei primi tre turni, ha lasciato appena 17 game. Numeri da dominatore.
C’è un problema, un nome, una costante: Carlos Alcaraz
Sinner ha perso le ultime due finali contro di lui: prima agli Internazionali d’Italia, poi al Roland Garros. E in entrambi i casi, dopo un inizio promettente, ha ceduto. Non solo nei colpi, ma nella convinzione. È come se lo spagnolo avesse trovato il codice per disattivare il sistema-Sinner, l’unico capace di fargli perdere il controllo e la lucidità. Un “peccato originale”, verrebbe da dire. Perché con tutti gli altri, Jannik è dominante. Contro Alcaraz, invece, qualcosa si spezza.
La sensazione è che Sinner possa battere chiunque tranne…
E allora Wimbledon diventa soprattutto un crocevia per Jannik Sinner. Non solo tecnico, ma profondamente mentale. Per Djokovic, è l’eterna sfida contro il tempo. Per Alcaraz, la consacrazione di una leadership che non ha intenzione di mollare. Ma per Sinner, è qualcosa di più: è la soglia definitiva. Il momento in cui può smettere di essere il numero uno solo per classifica e diventarlo anche nell’immaginario collettivo.
Per riuscirci, però, dovrà affrontare – e superare – il suo ostacolo più difficile. Non è l’erba, non è il pubblico, non è nemmeno Djokovic. È quel volto che ormai conosce fin troppo bene: il sorriso spagnolo di Carlos Alcaraz, la sua personale kryptonite.
Se Wimbledon sarà davvero un affare tra tre, allora il destino di Sinner passerà tutto da lì. Da un confronto che non è più soltanto sportivo. È mentale. Intimo. Quasi mistico. E solo superando quel confine, Sinner potrà davvero prendersi tutto.
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