Figli senza padre: il volto nascosto dell’ostruzionismo genitoriale
Sono padri. Non carnefici. Non violenti. Non condannati. Sono uomini a cui nessun giudice ha tolto la genitorialità, a cui nessuno ha imposto divieti di avvicinamento, uomini a cui, anzi, le sentenze riconoscono un diritto pieno e legittimo di vedere i propri figli. Ma quei figli non li vedono. Non li sentono. Non li abbracciano da 20 mesi, da 21 mesi, da 22 mesi. Il calendario scorre. Il silenzio cresce. La legge tace.
Quello che succede in Italia è una forma di sequestro privato mascherato da conflitto familiare. Un esercito silenzioso di madri – non tutte, ma troppe e sempre più in aumento– trasforma i figli in ostaggi, li sottrae deliberatamente al genitore non collocatario, ignorando sentenze, ignorando provvedimenti e soprattutto i diritti del padre, ignorando il dolore dei figli. E tutto questo avviene nell’impunità più assoluta, sotto gli occhi ciechi delle istituzioni.
Ogni giorno, in tribunali che dovrebbero garantire l’equilibrio, padri che hanno già vinto devono ricominciare da capo. Perché vincere in aula non significa ottenere giustizia nella vita reale. Una madre può decidere – arbitrariamente – che il figlio non risponderà al telefono. Che l’incontro non avverrà. Che il padre verrà cancellato. E la macchina della giustizia, lenta, ingolfata, troppo spesso complice, non fa nulla. O peggio: suggerisce “di attendere”.
Le denunce strumentali per maltrattamenti
A peggiorare tutto, c’è una strategia collaudata, diventata ormai prassi nel sottobosco dei tribunali civili e penali: la denuncia strumentale per maltrattamenti. Accuse che, nella stragrande maggioranza dei casi – stime ufficiose parlano di oltre il 94% – si rivelano infondate, inconsistenti, costruite ad arte per bloccare il diritto di visita, creare un clima di sospetto e congelare qualsiasi rapporto padre-figlio. E anche quando viene accertata la falsità dell’accusa, non succede nulla: nessuna sanzione, nessuna riparazione, nessun ammonimento. Il danno è fatto, il legame è spezzato, e la madre resta intoccabile.
In questo contesto i servizi sociali giocano un ruolo tutt’altro che neutrale. In teoria dovrebbero garantire il benessere del minore. In pratica, spesso si limitano a osservare, non intervengono, non segnalano, non contrastano. E quando devono esprimersi, quasi sistematicamente, si schierano dalla parte della madre, anche in assenza di prove concrete o in presenza di comportamenti palesemente ostruzionistici. Un riflesso condizionato, ideologico, non giustificato dai fatti. La figura paterna viene trattata come un rischio potenziale, mai come un diritto naturale del figlio.
E sia chiaro: se a comportarsi così fosse stato un uomo, se fosse stato un padre a impedire contatti, a calpestare sentenze, a far sparire un figlio per vendetta, oggi quel padre sarebbe già in carcere o sotto processo con l’etichetta di violento, alienante, abusante. Ma quando lo fa una madre, la giustificazione è pronta, la denuncia si smorza, la sanzione non arriva. Due pesi e due misure, dove la legge cambia pelle in base al sesso del genitore. E dove l’impunità femminile resta un tabù che nessuno ha il coraggio di denunciare.
Perché una madre può violare una sentenza o un provvedimento e restare impunita?
E allora la domanda è: perché una madre può violare una sentenza o un provvedimento e restare impunita? Perché un uomo, anche se riconosciuto genitore idoneo, deve vivere come un colpevole? Perché la legge è così feroce nel far rispettare l’assegno, ma così pavida nel far rispettare il diritto di visita?
Se un padre non versa l’assegno di mantenimento infatti rischia sanzioni penali, pignoramenti, procedimenti giudiziari immediati. Ma se una madre impedisce l’incontro tra padre e figli, viola sentenze, cancella affetti, non succede nulla. È più grave non mandare soldi che negare un figlio al proprio padre. Un paradosso giuridico e umano che grida vendetta.
Anche quando le CTU ordinate dal giudice confermano la piena idoneità del padre e mettono in luce comportamenti gravi, ostili o manipolatori da parte della madre, è rarissimo che vengano adottati provvedimenti concreti. La madre resta intoccabile, anche quando le relazioni tecniche ne evidenziano bugie, ostruzionismo e problemi psicologici evidenti.
In questa guerra, dove il figlio è il bottino, l’uomo è il nemico pubblico numero uno. Ma nessuno parla del padre che piange fuori da una scuola. Del padre che attende inutilmente una videochiamata. Del padre che riceve solo silenzi. Nessuno parla dei bambini che, senza motivo, perdono metà della loro identità. Quando una madre decide di escludere il padre, taglia fuori un intero ramo familiare: nonni, zii, cugini vengono cancellati dalla vita del bambino senza alcuna giustificazione. Una condanna all’isolamento affettivo, inflitta a tutta la famiglia paterna.
Negare un figlio al padre viola norme di diritti umani internazionali
Ogni bambino ha il diritto riconosciuto a livello internazionale a mantenere rapporto personale e diretto con entrambi i genitori. In base alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, gli Stati devono garantire questo contatto . Inoltre la Corte EDU ha riconosciuto come violazione dell’Art. 8 del ‘family life’ la mancata esecuzione di provvedimenti giudiziari per garantire l’accesso al genitore . Negare al padre questi incontri significa non solo tradire i sentimenti, ma infrangere norme vincolanti dei diritti umani internazionali.
E allora bisogna dirlo chiaro: negare un figlio al padre è un crimine. Non una disfunzione. Non una dimenticanza. È un atto intenzionale, illegale, lesivo. E chi lo compie – indipendentemente dal sesso – va perseguito con la stessa severità con cui si punisce chi sottrae un minore per strada.
Perché un figlio tolto con l’inganno fa lo stesso male, anche se lo fai da dentro casa.
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