In evidenzaItaliaNotizieSport

Fognini: il genio imperfetto, la bellezza sporca del tennis italiano

A Wimbledon, nel teatro ovattato dove il tennis si recita in silenzio, Fabio Fognini ha urlato — ancora una volta — la sua verità. Ha perso, sì. Ma è una di quelle sconfitte che sembrano gridare vittoria. Cinque set contro Carlos Alcaraz, il nuovo predestinato, fresco dominatore di Roma e Parigi, che dopo ore di lotta gli ha stretto la mano con rispetto: «Può giocare fino a 50 anni», ha detto. E non sembrava una battuta.

Fabio Fognini non è mai stato un giocatore normale

Fabio Fognini non è mai stato un giocatore normale. È stato un talento che ha scelto di non chiedere il permesso. Una furia con la racchetta e con le parole. L’uomo che ha litigato con arbitri, giudici di linea, spettatori, perfino con sé stesso, ma mai — e questo resta un fatto — con l’avversario. Perché Fabio il tennis lo ama, visceralmente, e nel tennis ha sempre cercato la bellezza, anche quando sembrava vomitarla fuori con rabbia.

La sua carriera è stata un paradosso vestito in maglietta Lacoste: talento da top 5, continuità da top 50. Il rovescio baciato dal Dio del tennis, la volée educata, la risposta improvvisa. Ma poi l’altra faccia: le smorfie, gli insulti, le squalifiche, le interviste al vetriolo. Eppure, nonostante tutto, Fabio Fognini ci è rimasto dentro. Perché era vero. Perché quando lo guardavi, capivi che non stava fingendo. Era l’unico a non recitare un copione. Lui era la trama.

Lo chiamavano “Fogna”

Lo chiamavano “Fogna”, con quel misto di disprezzo e affetto che si riserva solo ai personaggi indomabili. E Fognini, di certo, non si è mai lasciato domare. Nemmeno adesso, a 38 anni, quando avrebbe potuto salutare il tennis in silenzio, magari scegliendo un torneo minore. Invece è andato sul Centrale di Wimbledon, contro uno che potrebbe vincere altri dieci Slam, e gli ha fatto vedere i fantasmi. Gli ha fatto sentire l’odore del sudore, gli ha fatto capire che la vecchia scuola ha ancora un colpo in canna.

Fognini è stato — e forse è ancora — l’uomo che avrebbe potuto essere il numero uno, ma ha scelto di essere se stesso. Forse perché non poteva essere altro. L’Italia lo ha amato anche per questo: perché è stato un campione senza filtri, senza maquillage, che ci ha regalato la Coppa Davis e il trionfo di Montecarlo, ma anche mille momenti da mani nei capelli. E ogni volta, ci siamo passati una mano sul volto, e poi una sul cuore.

Ieri, a Londra, ha perso contro il futuro. Ma lo ha fatto con onore, con i colpi di sempre, con il fuoco addosso. E se il tennis è una questione di emozione, allora Fabio Fognini è uno dei più grandi. Perché ha diviso, ha spaccato, ha fatto discutere — e chi riesce a farlo, resta.

Per questo, quando metterà giù la racchetta per davvero, non potremo fare altro che ringraziarlo. Per averci fatto arrabbiare. Per averci fatto sognare. Per non essere mai stato banale.

Seguiteci sulla nostra pagina Facebook          


Scopri di più da Dalla Platea

Abbonati per ricevere gli ultimi articoli inviati alla tua e-mail.

Solverwp- WordPress Theme and Plugin